lunedì 1 luglio 2013

Nuovo studio di Maugeri sullo shale in USA

Leonardo Maugeri (per i pochi che non dovessero conoscerlo, qui un bigino) ha pubblicato un nuovo studio sullo state of the art dello shale oil negli USA. Lo studioso italiano si interroga, anche in questo lavoro, sulla natura e sulla transitorietà della rivoluzione shale, analizzando una mole impressionante di dati sui pozzi estrattivi di petrolio da scisti in America. Ecco gli spunti più interessanti del lavoro: 

-   Le logiche estrattive dello shale. A differenza di quanto avviene per i pozzi estrattivi tradizionali, dove lo sviluppo richiede un periodo di tempo piuttosto lungo e garantisce poi una produzione di petrolio più o meno continua per alcuni anni, le shale well hanno tempi di sviluppo e di esaurimento molto più brevi. Si pensi che un pozzo raggiunge normalmente il picco di produzione nei nei primi 30 giorni, e successivamente il production rate scende del 40%-50% nel primo anno e di un ulteriore 30-40% nel secondo. Da qui la necessità di perforare una quantità innumerevole di pozzi anche solo per mantenere i livelli produttivi di un bacino shale: secondo Maugeri, nel caso di Bakken-Three Forks, sono necessarie 90 nuovi pozzi ogni mese per mantenere il livello di produzione costante a 0,7 mln. bbl/g.  Tale fenomeno è definito come drilling intensity.  

- La non-replicabilità dell'esperimento americano: l'elevata drilling intensity viene individuata come uno dei principali ostacoli per replicare lo shale boom al di fuori degli USA; è difatti  molto difficile trovare un altro Paese al mondo con la stessa disponibilità di materiale e strumenti necessari a sostenere la drilling intensity dello shale. Si pensi che  nel 2012, delle 3.518 drilling rigs attive nel mondo, il 54% si trovavano negli USA, che nello stesso anno aveva una "spare capacity" pari a circa 200 drilling rigs.