lunedì 21 ottobre 2013

UK e nucleare: non è la rinascita dell'atomo

David Cameroon ha annunciato che la centrale nucleare di Hinkley Point verrà realizzata; il governo inglese ha infatti accettato la partecipazione della compagnia cinese China Nuclear Corporation Company, che affiancherà le francesi EDF ed AREVA nel consorzio che prevede di realizzare due EPR da 1,6 GW per un totale di 3,2 GW di nuova potenza installata. 
Costo dell'operazione? Le stime del consorzio parlano di 16 mld.£ e di una fine lavori nel 2023. Si segnala, tanto per far capire la bontà delle stime di costi e tempi quando si parla di nucleare, il pessimo record delle due compagnie francesi nel costruire i loro mitici EPR in giro per l'Europa: nel caso di Olkliluoto (Finlandia),  AREVA è passata per la realizzazione di un EPR da 1,6 GW da 3 mld.€ in 4 anni previsti nel 2003 a 8,5 mld.€ in 11 anni; nel caso di Flamanville (Francia), EDF ha più che raddoppiato le sue stime di costo tra il 2006 e il 2012, passando da 3,7 mld.€ a 8,5 mld.€ (vedi qui per spiegazioni più dettagliate su entrambi i progetti). 
Il consorzio franco-cinese è riuscito a spuntare uno strike price (in soldoni il prezzo per l'elettricità venduta che gli viene riconosciuto, per una spiegazione più dettagliata qui) di 92,5 £/MWh, circa doppio rispetto ai prezzi del mercato elettrico UK; difficile non vederlo come un sussidio all'energia nucleare.
In ogni caso, l'ipotetico, (ricordiamo che EDF ha tempo fino ad inizio 2014 per prendere la decisione finale d'investimento) ingresso in funzione della nuova potenza nucleare UK non segnerà una nuova era per l'industria nucleare europea, ormai molto più concentrata sulla fase di decommissioning che su quella di realizzazione delle centrali di potenza nucleari, come evidenziato anche nel grafico sotto. 
  



giovedì 17 ottobre 2013

Il reshape del mercato della raffinazione

La raffineria di Jubail, un gigante in grado di processare 400.000 bl/g realizzato in partnership da Total e Saudi Aramco, dovrebbe iniziare a esportare i primi cargo di prodotti nel mese di novembre, stando a quanto confermato da alcuni trader.
Jubail sarà in grado di produrre circa 100.000-120.000 bl/g di benzina e riuscirà in questo modo a fare fronte alla crescente domanda di distillati leggeri dei sauditi, più che raddoppiata tra il 1995 ed il 2012. 

Il fenomeno spiazzerà le export di prodotti leggeri che provenivano dal bacino del mediterraneo e dirette verso il regno saudita. Che cosa significa tutto ciò? Che probabilmente la raffineria MOL di Mantova non sarà l'ultima a chiudere nel nostro Paese. 

giovedì 26 settembre 2013

Sankey Diagram by IEA

Un'utilissimo strumento messo a disposizione dalla IEA per consultare dati e statistiche sui bilanci energetici e dei consumi energetici finali per settore di pressoché tutti i Paesi del mondo: si chiama Sankey Diagram, e lo trovate a questo link.
Finalmente, sarete in grado di rispondere all'annosa domanda su cosa ce ne faremo mai noi italiani di 53 mln. tonn di petrolio l'anno. 
 

lunedì 1 luglio 2013

Nuovo studio di Maugeri sullo shale in USA

Leonardo Maugeri (per i pochi che non dovessero conoscerlo, qui un bigino) ha pubblicato un nuovo studio sullo state of the art dello shale oil negli USA. Lo studioso italiano si interroga, anche in questo lavoro, sulla natura e sulla transitorietà della rivoluzione shale, analizzando una mole impressionante di dati sui pozzi estrattivi di petrolio da scisti in America. Ecco gli spunti più interessanti del lavoro: 

-   Le logiche estrattive dello shale. A differenza di quanto avviene per i pozzi estrattivi tradizionali, dove lo sviluppo richiede un periodo di tempo piuttosto lungo e garantisce poi una produzione di petrolio più o meno continua per alcuni anni, le shale well hanno tempi di sviluppo e di esaurimento molto più brevi. Si pensi che un pozzo raggiunge normalmente il picco di produzione nei nei primi 30 giorni, e successivamente il production rate scende del 40%-50% nel primo anno e di un ulteriore 30-40% nel secondo. Da qui la necessità di perforare una quantità innumerevole di pozzi anche solo per mantenere i livelli produttivi di un bacino shale: secondo Maugeri, nel caso di Bakken-Three Forks, sono necessarie 90 nuovi pozzi ogni mese per mantenere il livello di produzione costante a 0,7 mln. bbl/g.  Tale fenomeno è definito come drilling intensity.  

- La non-replicabilità dell'esperimento americano: l'elevata drilling intensity viene individuata come uno dei principali ostacoli per replicare lo shale boom al di fuori degli USA; è difatti  molto difficile trovare un altro Paese al mondo con la stessa disponibilità di materiale e strumenti necessari a sostenere la drilling intensity dello shale. Si pensi che  nel 2012, delle 3.518 drilling rigs attive nel mondo, il 54% si trovavano negli USA, che nello stesso anno aveva una "spare capacity" pari a circa 200 drilling rigs.




martedì 11 giugno 2013

Peak oil demand is the new black

Anche l'editor energia e commodities dell'Economist Simon Wright è d'accordo con la teoria della peak oil demand, di cui ho bloggato qui qui. Le ragioni di Wright sono spiegate nel video riportato sotto.

lunedì 10 giugno 2013

Risorse shale, nuove stime dall'EIA

L'EIA ha pubblicato un nuovo studio sulle risorse mondiali (o quasi) di gas e petrolio intrappolate nelle rocce scistose. Lo studio è un aggiornamento di un lavoro del 2011, rispetto al quale è stato incrementato il numero di Paesi e di bacini geologici presi in esame; le zone prese in esame sono quelle colorate nella cartina riportata qui sotto.  L'Italia non è inclusa nello studio.

Qualche considerazione sullo studio: 

-Prima di farsi prendere da facili entusiasmi sulla "rivoluzione che sconvolgerà il mondo dell'energia", ricordiamoci che il report parla di technically recoverable resources, cioè di quelle risorse che sarebbe possibile estrarre, stanti le tecnologie attuali, indipendentemente dal loro costo d'estrazione. Si noti quindi che la logica economica alla base delle scelte di produzione/investimento delle compagnie dell'O&G non rientra nelle considerazioni alla base del report. 
-Rispetto al 2011, le risorse stimate da shale aumentano del 10% per quanto riguarda il gas naturale e ben del 900%  per quanto riguarda il petrolio
- Si conferma come notevolissimo il peso delle risorse shale sulle risorse totali di idrocarburi. A livello mondo, per il gas le risorse da scisti rappresentano il 32%, mentre per il petrolio il 10%. 
- In Cina ci sarebbe un sacco di shale gas. Con le giusta combinazione di condizioni economiche e geologiche, la Cina potrebbe avere a disposizione abbastanza shale gas per soddisfare il fabbisogno dei prossimi 240 anni  (of course, a consumi fissi 2012). 
- In  Russia le risorse di shale oil sono state stimate in 75 mld/bbl, che ne farebbe il primo Paese per risorse di petrolio da scisti al mondo. 



martedì 4 giugno 2013

Bankitalia: giù il consumo di idrocarburi

Nella relazione annuale presentata il 31 maggio, Bankitalia tratteggia lo scenario energetico italiano. Poche righe, sufficienti a farci la capire lo stato critico di settori indispensabili quali quello della  raffinazione, della generazione termoelettica e della distribuzione gas.  
"Nel 2012 il tasso di utilizzo degli impianti delle raffinerie italiane è stato pari al 79%, circa 20 punti percentuali meno di quanto registrato nel 2007. Una riduzione “da attribuire all’eccezionale contrazione dei consumi petroliferi nazionali nel corso dello stesso periodo (-24%)”.
La produzione delle centrali termoelettriche tradizionali si è ridotta del 22% rispetto al 2007, risentendo della minore domanda di energia elettrica (la richiesta sulla rete è diminuita del 4,3%) e del “forte eccesso di offerta determinato dall’incremento degli impianti a fonti rinnovabili (sostenuto da un generoso sistema di incentivi)”.
Il settore della distribuzione del gas ha infine risentito negativamente della riduzione della domanda per generazione termoelettrica tradizionale (-28%) e di quella per uso industriale (-31%)."

lunedì 13 maggio 2013

Prezzi del gas ed indici

Le PRA (Price Reporting Agencies, come Platts, Argus, Heren...) si trovano ancora sotto il fuoco delle critiche dei mercati (e dei regolatori, vedi qui) per via del loro ruolo nei mercati delle commodities energetiche. Qualcuno ricorderà che nel 2012 lo IOSCO, l'organizzazione internazionale che riunisce i regolatori borsistici nazionali, aveva lanciato un'inchiesta sul funzionamento delle PRA e sul loro ruolo nel mercato petrolifera, conclusasi con l'emanazione di alcune guida (tra cui l'impegno nell'adozione di un codice etico da parte delle PRA) a cui le agenzie di price reporting si dovrebbero adeguare. 
Ore le stesse PRA sono di nuovo nell'occhio del ciclone, questa volta in relazione ai mercati del gas naturale. In particolare, come spiegano bene il FT e Verda un numero crescente di operatori (utility, produttori, trader) ha smesso di comunicare i dati relativi ai prezzi spot di vendita/acquisto del gas naturale, riducendo il pool delle transazioni sui quali le PRA basano propri monitoraggi giornalieri e in base ai quali vengono stabiliti i loro prezzi spot daily ai vari punti di consegna. Ciò aumenta indubbiamente le possibilità sia di imprecisioni nel Price Reporting che di manipolaggio da parte di operatori del mercato a fini speculativi. 
Inoltre, tale inconveniente sta aprendo nuove prospettive per i broker che operano nel settore, che hanno tutti gli interessi a fare rimanere il mercato delle transazioni gas il più trasparente e liquido possibile. Si veda l'esempio del Tankard Index, prodotto lanciato a inizio 2013, e che consiste in un indice dei prezzi del gas registrati in 4 hub (NPB, TTF, NCG, GASPOOL) per contratti day, week e month ahead.  

martedì 30 aprile 2013

Pronti per una nuova rivoluzione energetica?

La shale revolution non ha ancora iniziato a dispiegare le sue potenzialità e a far sentire i suoi effetti su tutti e 5 i continenti che già l'industria energetica inizia a parlare di una "nuova" rivoluzione energetica. The Atlantic, storico magazine americano, decide addirittura di sbatterla sulla copertina del numero in edicola nel mese di maggio: stiamo parlando degli idrati di metano, un composto cristallino simile al ghiaccio, che si forma al contatto tra acqua e piccole molecole gassose, in condizioni di temperatura prossime a 0 gradi e ad alte pressioni.   


Stando a questo report del 2006 del nostro ministero della difesa (si sa, da Churchill in avanti per i militari la questione energetica è sempre stata essenziale), "la particolare struttura chimica di questi composti permette di immagazzinare notevoli quantità di idrocarburi, in prevalenza metano. Si stima che, in condizioni di temperatura e pressione normali, un metro cubo di idrato produca circa 160 metri cubi di metano, e circa 0.87 metri cubi di acqua".


L'esistenza di tale risorse di idrocarburi è ben nota agli scienziati già dagli anni '30 del novecento, ma il loro utilizzo per scopi commerciali non era mai stato seriamente preso in considerazione; negli ultimi decenni USA, Canada, Norvegia, Cina, India, Giappone, Corea del Sud hanno lanciato dei programmi di ricerca sugli idrati di metano. L'interesse nei confronti di tale risorsa energetica ha assunto un ordine di grandezza nuovo da quando, nel marzo di quest'anno, il Giappone ha annunciato di aver utilizzato la nave Chikyu, un bestione da 540 milioni di dollari, per effettuare le prime estrazioni offshore al mondo di gas da naturale da idrati di metano. I giapponesi, che hanno visto la loro già elevata dipendenza energetica dall'estero crescere ulteriormente dopo i fatti di Fukushima e la fermata del 94% (48 su 50) delle proprie centrali nucleari, hanno investito circa 700 milioni di $ in un programma di R&D sugli idrati di metano, e sperano entro il 2018 di riuscire a commercializzare il primo gas naturale estratto da idrato.

Il mondo dell'O&G tutto sta alla porta ad osservare gli esiti della ricerca Made in Japan. Anche perché, stando alle stime di USGS e DOE, di gas naturale contenuto negli idrati di metano ce ne sarebbe parecchio: 40.000 TCF (trillion cubic feet), di cui circa 10.000 TCF classificate come resource grade e quindi potenzialmente estraibili; come termine di paragone, si tenga presente che la BP stima in circa 6.700 TCF le riserve complessive di gas naturale al mondo (convenzionale e non-convenzionale, ovviamente escluso quello contenuto negli idrati di metano). E come si vede dalla cartina riportata sotto, le riserve sarebbero distribuite in maniera piuttosto omogenea nel mondo. 

Insomma, potremmo essere sull'orlo di una seconda "natural gas revolution" nel giro di pochi anni, con implicazioni forti per l'industria energetica, l'economia globale e il clima. Stay tuned per approfondimenti in questi ambiti.  

mercoledì 24 aprile 2013

Brent a 90$?

Citi insiste sulle posizioni espresse alcune settimane fa nel report "the end is nigh", di cui avevamo dato conto in questo post. Secondo Edward Morse, coautore del report e global head del commodity research group, il gas naturale potrebbe oggi sostituire circa 20 mln/bbl giorno di petrolio (su circa 90 mln/bbl di consumo mondiale), di cui 12 mln/bbl nel settore dei trasporti.


Se tale sostituzione dovesse avvenire, i ricercatori di Citi prevedono un spinta al ribasso sul prezzo del Brent, che potrebbe raggiungere i 90 $. 

lunedì 15 aprile 2013

Giù i prezzi di benzina e gasolio; ampi margini per ulteriori riduzioni

Scendono in maniera marcata i prezzi alla pompa di benzina (-2,1 €/cent w/w) e gasolio (-2,0 €/cent w/w) da autotrazione in Italia, seguendo il trend al ribasso dei prezzi internazionali che si protrae dall'ultima settimana di marzo.

Alla base di tale discesa dei prezzi troviamo ragioni sia strutturali che congiunturali. Il calo previsto della domanda globale di petrolio (vedi post precedente), atteso ormai anche da OPEC e dall'IEA, nonché le previsioni della EIA sul calo  (-0,2% y/y) della domanda di benzina in USA durante il periodo della driving season estiva possono essere enumerati tra i fattori che hanno contribuito al calo sintetizzato nel grafico riportato.

mercoledì 10 aprile 2013

Domanda petrolio, "the end is nigh"

Con questo post voglio ritornare su alcune delle considerazioni fatte in questo post,che parlava dello studio di Citi (qui una sintesi di FT).  sulla crescita (o melgio detto, decrescita) della domanda petrolifera, anche alla luce dei commenti che si sono susseguiti sulla stampa specializzata al memo pubblicato da Citi. 

Riassumendo all'osso il report di Citi, Kleinman e soci ci dicono che:

1) I consumi di petrolio raggiungeranno il picco entro il 2020 intorno ai 90 mln.bbl/gg
2) Le potenzialità globali di sostituzione tra petrolio e gas naturale sono molto elevate ( 4mln.bbl/gg al 2020)
3) Date le nuove condizioni dal lato domanda, il prezzo del Brent si assessterà intorno agli 80/90$ bbl entro la fine del decennio 




Gli analisti di Argus, in un pezzo apparso sull'AGM di venerdì scorso, contestano le conclusioni di Citi. In particolare, viene mossa una critica sulla ratio tra crescita del PIL e aumento della domanda di petrolio di 0,3% utilizzata da Citi. Tale cifra corrisponde alla media del periodo 2006-2011, ma è la metà di quella della media per il periodo 2000-2005 (0,6%) e, a quanto sostiene Argus, sembra una scelta piuttosto arbitraria, fatta allo scopo di giustificare una crescita della domanda globale di petrolio dell 1,2% annuo tra il 2013 e il 2020.
Inoltre, Argus contesta che sperare di ottenere gli efficientamenti del parco circolante da Citi (nell'ordine del 2,5% /anno per i nuovi veicoli immessi nel mercato) è piuttosto irrealistico, soprattutto alla luce della riluttanza di molti governi dei PVS ad adottare standard di efficienza sui carburanti e sui consumi auto che potrebbero danneggiare i propri produttori nazionali. Ciò è testimoniato anche da un report del GFEI sui progressi nell'efficienza dei veicoli commerciali: se nell'OCSE l'efficienza media è aumentata del 2,4%/anno nel periodo 2005-2011 (2,7 nel periodo 2008-2011), nei Paesi non OCSE, l'efficienza media è aumentata solo dello 0,1%/anno nello stesso periodo.     

Insomma, il picco della domanda petrolifera e una sua stabilizzazione sono inevitabili, ma, secondo Argus, non nei modi e per le ragioni elencate dagli analisti di Citi. 

martedì 2 aprile 2013

Domanda Oil, scende o non scende?

C'è un articolo interessante sul FT, firmato dall Global Head of Energy Strategy di Citigrup, Seth Kleinman, sulla crescita della domanda di petrolio negli anni a venire. La tesi centrale dell'autore è che i consumi petroliferi globali NON sono destinati a crescere nel lungo periodo, a dispetto del consensus in merito tra i big dell'industria energetica globale (giusto ieri, il ministro del petrolio Saudita Naimi sosteneva che la domanda di petrolio per il futuro è "solida", ma questa è un'altra storia).

La ragione? L'effetto sostituzione gas/petrolio. Secondo Kleinman, tale fenomeno, che stiamo iniziando a sperimentare in questi anni, diventerà sempre più marcato negli anni a venire, per via della continua diminuzione del prezzo del gas naturale, a sua volta legato alla c.d. shale revolution.

Interessanti sono i dati e le argomentazioni che Kleinman porta a sostegno della sua tesi. Tanto per cominciare, l'autore ridimensiona l'affermazione "more money, more car drivers" che viene spesso utilizzata come principale giustificazione della crescita futura (e presente) della domanda petrolifera in Cina e in altri mercati emergenti: l'affermazione è corretta, ma ciò che si tende spesso a dimenticare è che i bisogni degli automobilisti concorrono solo per il 25% ca. alla domanda di petrolio globale, come mostrato nella tabella sottostante (dati OPEC riferiti al 2010).

  
 
Molti operatori attivi nei settori diversi da quello Auto stanno sostituendo o hanno in programma di sostituire prodotti a base petrolifera con il gas naturale; negli USA, esempi possono essere trovati nell'aviazione, nella logistica (UPS e Fedex) e tra le stesse compagnie petrolifere, che sempre più spesso preferiscono far funzionare le proprie trivelle con motori a gas naturale. In UE, la Commissione ha annunciato un'ambiziosa strategia sui combustibili puliti, che potrebbe portare all'installazione di stazioni di rifornimento di GNL in tutti i 139 porti marittimi e interni della rete centrale transeuropea e alla creazione di una stazione di rifornimento ogni 400 km   lungo le strade della rete centrale europea. In Cina, le vendite di camion funzionanti a GNL rappresentavano l'8% del totale nel 2012; inoltre, anche in seguito ai pesanti fenomeni d'inquinamento che stanno affliggendo il Paese (e ben riassunti qui), il governo sta spingendo per una transizione verso combustibili più "puliti".      


La tesi è indubbiamente interessante, e Kleinman non è certo l'unico a sostenere che a breve potremmo vedere il picco della domanda petrolifera. Restiamo sintonizzati, fiduciosi che il dibattito sui consumi dell'oro nero non è destinato ad esaurirsi nel breve periodo.  


venerdì 29 marzo 2013

Tier 3: giù lo zolfo, su il prezzo della benzina USA?

L'EPA ha in cantiere una proposta (tier 3) per l'irrigidimento degli standard sui contenuti di zolfo nella benzina USA, che potrebbe passare da 30 ppm a 10 ppm (N.B. in UE la quantità di zolfo consentita nella benzina è pari a 0 dal 2009, vedi qui). La mossa sembra essere fortemente sostenuta dall'amministrazione Obama.

Le reazioni dell'industria petrolifera americana non si sono fatte attendere: l'American Petroleum Institute (API), principale rappresentate dell'industria dell'O&G a Washington, ha rispolverato uno studio del 2011 nel quale si asseriva che tale misura potrebbe portare ad un aumento dei costi della benzina stimabili in 9 cent$/gallone. E, sempre secondo l'API, se al Tier 3 si sommano le misure legate ai RIN (vedi mio post su Rinsanity), il conto per l'automobilista americano potrebbe salire a 25 cent$/gallone.  Altri studi, come quello commissionato dalla National Association of Clean Air Agencies (NACAA),  sostengono che l'aumento sarà nell'ordine di 1 cent$/gallone.

A prescindere dal costo finale per i consumatori, è legittimo attendersi una stagione di ulteriori grandi rivoluzioni per il sistema raffinativo USA.




martedì 12 marzo 2013

Biocarburanti e prezzi benzina USA

I Renewable Identification Number (RIN) credits, questi sconosciuti. In breve, si tratta di ethanol credits, che raffinatori e distributori di carburanti possono comprare per rispettare le limitazioni imposte dallo US Renewable Fuel Standard (RFS)del 2007; i RIN sono collegati ad ogni gallone di etanolo prodotto, per essere poi separati quando l'etanolo è mescolato con la benzina: in questo modo, se un raffinatore possiede più RIN di quanti richiesti dalla RFS per l'anno in corso (ergo, ha messo più etanolo nella benzina di quanto richeisto dalla normativa vigente), può vendere credits sul mercato, che possono essere acquistati da altri raffinatori. Per il 2013, l'RFS impone di miscelare 13,8 mld. galloni (51 mld. ltr) di etanolo corn-derived nella benzina distribuita in USA.

In questo post, da cui l'estratto copiato, trovate una spiegazione più articolata dei RIN :

"RINs are the basis of the accounting system created by the Environmental Protection Agency (EPA) for use in enforcing the fuel mandates outlined under the RFS2. A RIN is a 38-digit number assigned to each gallon or batch of renewable fuel produced or imported into the U.S. Each RIN travels through the supply chain with the biofuel it is associated with until it is separated, at which point the RIN can be applied towards the mandate of an obligated party (fuel blender) or traded among other obligated parties or speculative traders, potentially for application towards the mandate at a future time. Thus, the RINs system allows obligated parties to meet their individual mandates by applying RINs representing biofuels which they have physically purchased and blended, or those which were purchased from another party through RIN trading".

Fino a fine 2012, i RIN venivano scambiati a prezzi che oscillavano intorno ai 0,05 $/gallone. Negli ultimi 3 mesi, il prezzo è aumentato costantemente: 0,26 $/gallone in febbraio, 0,7 $/gallone in marzo. Insomma, un incremento del 1400% da inizio anno, che ha portato gli analisti dell'OPIS a parlare di "RINsanity".


Secondo il FT, che ha dedicato un paio di pezzi alla questione, le ragioni alla base dell'impennata dei prezzi dei RIN sono da ricercare nella mancanza di capacità produttiva delle raffinerie di etanolo USA, che saranno in grado di processare soltanto 12,3 mld/galloni di biocarburanti quest'anno, ben al di sotto dei 13,8 imposti dal RFS. Stando a quanto riportato dal Platts, anche l'EIA si è detta preoccupata della mancanza di capacità di raffinazione negli USA

Bisogna però sottolieare che secondo alcune stime, ci sarebbero ancora l'equivalente in RIN di 2,5 mld./galloni di etanolo che non sono stati venduti nel 2012, e che possono essere sfruttati dalle petrolifere per rispettare i limiti imposti dal RFS.

 Ora, si chiederanno i pochi impavidi lettori che ci hanno seguito in questa discettazione su di un cambiamento che sta influenzando una parte piuttosto marginale del mercato dei carburanti, perché questa discettazione sui RIN?

Semplice: perché, come sostiene anche il management di Valero, se il prezzo dei RIN dovesse restare su questi livelli per i prossimi mesi si rifletterà sicuramente sul prezzo della benzina USA, e a farne le conseguenze saranno gli automobilisti americani.

lunedì 11 marzo 2013

Prezzi carburanti, possibilità per ulteriori riduzioni

Sono in calo costante ormai da oltre due settimane i prezzi internazionali di benzina e di gasolio con consegna nel mediterraneo, dopo i picchi raggiunti a metà febbraio (media di 660 cent.€/ltr gasolio, media di 650 cent.€/ltr gasolio). Come scrivevamo già la settimana scorsa, vi è quindi margine per un'ulteriore diminuzione di prezzi alla pompa dei carburanti nelle prossime settimane, dopo i (lievi) cali della settimana appena trascorsa.

giovedì 7 marzo 2013

Gas? No, grazie

Considerando la crisi economica che attanaglia il Paese e l'aumento esponenziale della penetrazione delle RES-E nel parco di generazione italiano, constatare che i consumi di gas naturale in Italia siano in caduta libera non dovrebbe sorprendere nessuno: stando a quanto riporta Staffetta Quotidiana, i consumi sono scesi a febbraio di un 18,4% rispetto allo stesso mese del 2012, del 2,4% rispetto al 2011. Scendono di conseguenza anche la (limitata) produzione nazionale e le importazioni, aumentano invece le erogazioni da stoccaggio.

In questo quadro piuttosto desolante per il panorama gas Italia, si vengono ad inserire due eventi che hanno avuto luogo nei giorni scorsi: da un lato, c'è stata l'interruzione delle forniture di gas libico verso l'Italia tra sabato 2 e martedì 5 marzo, in seguito all'attacco, da parte di miliziani armati, dell'impianto di trattamento di Mellitah operato da ENI e NOC. Come il MSE si è prontamente speso a sottolineare, l'interruzione delle forniture attraverso il gasdotto GreenStream non ha costituito un problema per il rifornimento del mercato del gas italiano. 

L'altro evento degno di essere menzionato è il ping-pong di cargo GNL tra il rigassificatore di Rovigo e quello di Huelva in Spagna: secondo Argus, il 6 di marzo una nave metaniera proveniente dal Qatar è stata rediretta dal terminal veneto verso quello andaluso, e potrebbe essere solo il primo di una serie di carichi che subiranno la stessa sorte. 

E dicevano che l'Italia non sarebbe mai potuto diventare un hub del gas nel Mediterraneo...


mercoledì 6 marzo 2013

Smontiamo le centrali nucleari


Il problema del decommissioning nucleare e del conferimento dei rifiuti radioattivi in depositi sicuri accomuna quasi tutti i Paesi del vecchio continente. L’Italia non fa eccezione: con 9 siti da bonificare, di cui 4 ex-centrali elettronucleari, la sfida che si para di fronte a Roma è tecnologicamente e politicamente complessa. Dal punto di vista tecnologico, la soluzione a tale problema è stata creata nel 1999 e si chiama Sogin.

La società, oggi al 100% controllata dal MEF, prevede di investire nel prossimo ventennio ca. 6,5 miliardi di € in opere di smantellamento, gestione dei rifiuti nucleari e nella realizzazione di un Deposito Nazionale dei rifiuti di basso e medio livello e di un Parco Tecnologico.

La notizia è che nei prossimi mesi ISPRA, authority che vigila pro-tempore sul settore delle bonifiche nucleari, indicherà a SOGIN quali sono i criteri per decidere sul siting del deposito nazionale. SOGIN dovrà poi individuare le zone più papabili per accogliere il deposito. Insomma, si procederà a sondare gli umori di quei territori che, in un momento di congiuntura economica molto sfavorevole, saranno interessati ad ospitare investimenti molto ingenti ( ca 2,5 miliardi di €) e soprattutto un polo tecnologico di prim'ordine. Si accettano suggerimenti sulle zone di Italia che potrebbero essere più interessate ad accettare la sfida. 


lunedì 4 marzo 2013

Prezzi della benzina giù dalla prossima settimana?


Sono incoraggianti le prospettive per i prezzi dei carburanti per la settimana entrante.

Dalla fine di febbraio sono in costante diminuzione i prezzi internazionali di benzina e gasolio (qui dati su SQ, a pagamento), favoriti peraltro dalla flessione del tasso di cambio. In leggera risalita invece i prezzi medi alla pompa in Italia nelle scorse settimane.

Ciò fa pensare che possano esserci dei cali in vista nei listini prezzi dei principali distributori già dai prossimi giorni.